Aderire alla previdenza complementare conviene sia sui contributi che sul rendimento del TFR lasciato in azienda

L’impennata dell’inflazione, e conseguentemente dei prezzi, ha riacceso il confronto sulla reale opportunità offerta dal far confluire gli importi del Trattamento di Fine Rapporto (TFR) nei fondi di previdenza complementare, in particolare in quelli di settore, derivanti dai contratti di lavoro di categoria.

Se l’innalzamento dell’inflazione ha fatto fare un balzo del +8,2% ai fondi lasciati in azienda e ha per contro registrare una flessione dell’11% dei rendimenti dei fondi previdenziali, una recente ricerca – effettuata da Smileconomy per conto del Corriere della Sera – ha registrato che complessivamente la bilancia pende sempre in favore degli investimenti e accantonamento effettuati attraverso il sistema della previdenza complementare.

L’analisi ha messo a confronto la rivalutazione del TFR lasciato in azienda con circa 120 diversi scenari di possibili andamenti dei fondi pensionistici negli ultimi 20 anni, con proiezioni future a medio e lungo termine.

Il TFR lasciato in azienda matura un rendimento fisso dell’1,5% annuo, aumentato della quota parti al 75% dell’incremento inflazionistico. Con l’inflazione balzata dell’11,6%, nell’ultimo anno la rivalutazione del TFR è stata fissata a circa 10% lordo, 8,6% al netto delle imposte; i fondi di investimento hanno invece registrato una flessione che, a seconda dei piani applicati, oscilla tra il 9,8 e l’11,6%.

Dalla ricerca emerge che, malgrado le apparenze, i fondi pensione risultano ancora molto più favorevoli, arrivando a stabilire che un lavoratore 30enne o 40enne che decidesse di depositare il proprio TFR in un fondo bilanciato, il montante a disposizione al momento della pensione arriverebbe ad essere più che raddoppiato rispetto a chi decidesse di lasciare il TFR in azienda.

Con il fondo pensione, dove confluiscono anche i contributi versati dal datore di lavoro, il lavoratore 30enne (stipendio netto 1.500 euro) si ritroverebbe un capitale finale di 154.899 euro, pari ad un +127% rispetto ai 68.255 euro del TFR in azienda, mentre il lavoratore 40enne (stipendio netto 2.000 euro) si ritroverebbe un montante di 200.635 euro, il 104% in più rispetto ai 98.206 euro di chi invece ha optato la liquidazione.

A giocare un ruolo determinante, nel calcolo dei rendimenti, ci sono anche i benefici di una tassazione agevolata che per il TFR affidato a un fondo pensione viene tassato ,a scalare negli anni, da un massimo del 15% fino ad un minimo del 9%; al momento della liquidazione, invece, il TFR lasciato in azienda viene tassato seguendo le consuete aliquote Irpef, partendo da un minimo del 23%.

Messi sul piatto della bilancia, quindi, rendimenti e tassazione, la previdenza complementare non teme confronti, uscendo sempre vincente dal confronto soprattutto quando i fondi sono di natura contrattuale, con minor costi di gestione che aumentano le posizioni accumulate dai lavoratori.

Gli scenari tratteggiati dalla ricerca confermano quindi anche la posizione dei sindacati, che in veste di parti sociali costituenti i Fondi di pensione complementare, tutelano per definizione i diritti e le aspettative di lavoratrici e lavoratori.

“Come Sindacato – dice Michele Carpinetti, che per Filcams Cgil nazionale segue il sistema della bilateralità – lo stiamo dicendo da anni: aderire alla previdenza complementare è non solo uno dei diritti contrattuali che porta benefici economici al lavoratore, da parte del datore, ma conviene anche rispetto al Tfr lasciato all’azienda”.

Un’affermazione che viene confermata anche dalle statistiche elaborate dal comitato di vigilanza sui fondi pensione Covip, che dimostrano come i rendimenti dei Fondi pensione siano stati nettamente superiori alla rivalutazione del Tfr negli ultimi anni.

“I bassi costi di gestione e la prudenza degli investimenti – dice ancora il responsabile Filcams per la bilateralità – hanno fatto la differenza. Anche l’ultimo anno di turbolenza dei mercati va interpretato, sui comparti garantiti, come un processo di media durata che (se non si necessita di anticipi o riscatto e aspettando la scadenza dei titoli), assicura risultati positivi, in quanto la maggior parte degli investimenti, in tali  comparti,  è nei titoli di Stato”.

“Un bilancio quindi favorevole – conclude Carpinetti – per chi ha aderito alla previdenza complementare a partire dai nostri fondi di categoria: Fondo Fonte e Previdenza Cooperativa. Il nostro impegno prosegue nell’informare sempre e puntualmente i lavoratori, soprattutto i più giovani, di questo importante diritto contrattuale ma anche per incalzare il Governo perché intervenga sui punti che risultano ancora migliorabili, come la defiscalizzazione dei rendimenti e l’aumento della deducibilità dei contributi”.