Rappresentanza e salario minimo al centro del dibattito sul dumping contrattuale

È stata presentata il 26 gennaio scorso, nell’ambito dell’Assemblea Organizzativa della Filcams Cgil, l’indagine comparativa tra i contratti siglati da Cgil, Cisl e Uil e quelli stipulati da sindacati scarsamente o per niente rappresentativi per i settori del commercio, del turismo e dei servizi: il lavoro è stato condotto dal team di ricerca della Fondazione Di Vittorio, su commissione del Centro Multiservizi della categoria.

La ricerca, illustrata da Salvo Leonardi della Fondazione Di Vittorio, analizza l’esplosione del fenomeno del dumping contrattuale e della cosiddetta “contrattazione pirata”, con dati che forniscono elementi più precisi sulla loro diffusione e valutazioni qualitative circostanziate, elementi necessari per una più concreta denuncia della proliferazione di contratti alternativi, e per opporre a questa crescita un sistema di regole che possa portare a ridurre, e quindi annullare, la competizione al ribasso tra le imprese.

I risultati dell’indagine mostrano che sono tanti i contratti nazionali, ma che soltanto pochi sono realmente incisivi: in tutti i settori, i primi cinque contratti maggiormente applicati coprono almeno l’80% dei lavoratori, e in sei settori su tredici ne coprono più del 90%; nel macro-settore del terziario, distribuzione e servizi – dove dall’ultimo monitoraggio risultano vigenti ben 235 CCNL– i cinque più applicati coprono l’83% dei lavoratori, e il primo, da solo, il 52%. In questo ambito il dato più sorprendente è che 353 contratti, siglati da sindacati e da raggruppamenti di imprese non rappresentativi, coprono appena 33.000 lavoratori: contratti pirata, che interessano poche aziende e pochi lavoratori, ma che possono comunque riuscire a inquinare la contrattazione maggiore.

Le varie forme, illustrate dalla ricerca, in cui il dumping contrattuale si determina conducono tutte, più o meno direttamente, alla svalutazione dei salari: si parla di una riduzione del 20-30% del costo del lavoro. Numerose, e tutt’altro che trascurabili, le deroghe peggiorative rilevate nei “contratti minori” raffrontando i trattamenti anche su orari, flessibilità, straordinari, pagamento malattia. 

Ma il dato più erosivo di questi accordi si trova nella completa aziendalizzazione della disciplina dei rapporti di lavoro, che si produce con lo spostamento del baricentro contrattuale dal Contratto Nazionale alla singola azienda. 

La ricerca è stata occasione di confronto con le Associazioni datoriali firmatarie dei Contratti Nazionali comparativamente più rappresentativi a livello nazionale (Confcommercio, Legacoop e Confindustria)  Pasquale Tridico presidente dell’INPS,  e con il contributo dell’Avv. Carlo de Marchis, su temi di particolare importanza, relativi alla rappresentatività, al salario minimo e agli strumenti necessari per riconoscere    condizioni salariali e di lavoro eque e dignitose.

“Con l’analisi dei contratti che abbiamo visto proliferare in questi anni, la comparazione mette in evidenza che le condizioni del lavoro sono complessivamente inferiori e peggiorative e non solo in relazione alla retribuzione” è quanto afferma Maria Grazia Gabrielli segretaria generale della Filcams Cgil durante il dibattito. “La Filcams rappresenta e concentra un’ampia fetta di lavoro povero, una problematica che andrà ad incidere anche sul futuro e sulle pensioni delle persone. Ma la povertà delle retribuzioni deve essere affrontata nel suo insieme, perchè è determinata anche da una fragilità del mercato del lavoro dovuta al lavoro stagionale, ai tanti part time involontari, alla discontinuità della condizione di accesso e permanenza nel mondo lavoro, fragilità che si amplificano perché riguardano per la maggior parte i giovani e le donne. Il ruolo dei Contratti Nazionali resta centrale per la regolazione dei rapporti di lavoro e per questo devono essere rafforzati con interventi che legano la loro efficacia alla reale rappresentatività dei firmatari. Per difendere questo ruolo, la responsabilità delle parti firmatarie è anche quella di rinnovare i contratti recuperando ritardi insostenibili che danneggiano i lavoratori e i settori.”

Tania Scacchetti, segretaria nazionale della Cgil, ha messo in evidenza la necessità di un concreto intervento legislativo in tema di rappresentanza “per sancire per legge il valore giuridico dei contratti firmati dalle organizzazioni sindacali di cui sia chiara ed accertata la capacità di rappresentare il lavoro e le imprese.”

È necessario rimettere al centro del dibattito il tema della rappresentanza, senza sottrarsi anche ad una riflessione sull’introduzione del salario minimo, che non è la risoluzione dei problemi della questione salariale: “non si può prescindere dall’affrontare la strutturazione del mercato del lavoro, le condizioni di lavoro, la precarizzazione, l’aumento dei contratti part time involontari e un sistema di inquadramento non sempre corrispondente alle reali mansioni dei lavoratori.

Non può essere inserito un salario minimo legale che non parta dalla valorizzazione del sistema della contrattazione collettiva, non si può introdurre uno strumento che può sottrarre tutele ai lavoratori, proponendosi come alternativa alla contrattazione.”

LEGGI – Sintesi del rapporto

LEGGI – schede presentazione della ricerca

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