Turismo e terziario della Lombardia, bocconi appetibili per le mafie

Emblematici i casi de “La Tela” a Rescaldina e “Wall Street” a Lecco.

Una mappa del «crimine» molto più aggiornata, che ovviamente riserva alla Lombardia un posto di primo piano, anche in settori che tradizionalmente sembravano esclusi da infiltrazioni mafiose. La Lombardia è infatti la quinta regione italiana per numero di beni immobili confiscati alla criminalità, dopo Sicilia, Campania, Calabria, Puglia. Sono infatti 1266, pari al 7,2%. Dati dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc).

Le aziende confiscate sono 283, per la maggior parte ubicate nella provincia di Milano. La criminalità organizzata ha scelto nuove forme di investimento e a parte i settori tradizionali, costruzioni e commercio, sono turismo e terziario a destare maggiori preoccupazioni. Quest’ultimo si sta abbandonando all’intromissione della criminalità organizzata.

E se da un lato occorre vigilare maggiormente in certi settori che non si pensava fossero così fragili, dall’altro c’è la necessità di individuare dei «modelli» di gestione delle aziende confiscate, per farle restare sul mercato e dare maggiori strumenti agli amministratori giudiziari.

Emblematici sono due casi di aziende lombarde attive nel settore della ristorazione, “La Tela’’ a Rescaldina e “Wall Street’’ a Lecco. La prima è un caso positivo di riutilizzo del “bene’’ grazie alla collaborazione delle istituzioni, la seconda no: dopo 20 anni dalla confisca l’attività infatti non è ancora riaperta, anche se a luglio scorso si è chiusa la procedura di assegnazione a seguito di un bando pubblico vinto da alcune associazioni del territorio. «Se lo Stato non investe nei beni confiscati alla mafia questi non diventeranno mai produttivi, mentre con i giusti accorgimenti possono diventare un volano per far ripartire l’economia», sottolinea Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare Antimafia. «Se un’azienda si ferma è perduta», insiste Susanna Camusso, segretario generale della Cgil «la prima condizione è che un’azienda non chiuda».

(fonte: Il Giorno)