Studi professionali chiedono la cassa integrazione

Le assistenti di poltrona dei dentisti, le segretarie di avvocati e notai. Un milione di dipendenti degli studi professionali il 90 per cento sono donne a cui è negato il diritto alla cassa integrazione. Per non parlare dell’altro mezzo milione stimato di vere e false partite Iva, co.co.pro e quant’altro che non ha ancora alcun ammortizzatore sociale.

UN MILIONE DI LAVORATORI, 90% DONNE

Questa mattina saranno in presidio davanti a Montecitorio assieme ai sindacati di categoria e alle associazioni che riuniscono gli studi professionali per protestare al grido «Ammortizzatori sociali in deroga, stop alle discriminazioni». Nel mirino c’è sempre il famoso decreto interministeriale con cui il governo ha tagliato i criteri per accedere alla cassa, per razionalizzarne l’uso e ridurre i costi per lo Stato (la cig in deroga è a differenza di quella ordinaria, coperta dai contributi di lavoratori e imprese è a carico della fiscalità generale). Per farlo i ministeri del Lavoro e dell’Economia si sono aggrappati al codice civile, che non considera gli studi professionali come imprese. «Gli studi professionali sono stati gli unici ad essere stati estromessi», spiega Gaetano Stella, presidente di Confprofessioni, l’associazione che riunisce 300mila studi professionali. Dal 2009 al 2013 i dipendenti degli studi professionali erano invece stati inseriti nell’elenco dei possibili fruitori. «Fino al 2011 praticamente nessun lavoratore ne ha usufruito, ma poi la crisi ha colpito anche noi e a macchia di leopardo siamo stati costretti a lasciare a casa i nostri lavoratori», racconta Stella. Sul totale del monte ore di cig in deroga richieste, gli studi professionali rappresentano meno del 2 per cento, sebbene siano raddoppiate nel giro di un anno. L’incidenza è bassa, ma l’importanza per questi «lavoratori di serie C, che non hanno altre tutele, nemmeno la mobilità», è fondamentale. Specie per lavoratori giovani con un’età media sui 35 anni.

IL VOTO DELLE CAMERE

La scorsa settimana però le commissioni Lavoro di Camera e Senato hanno dato voto favorevole alla riammissione degli studi professionali tra i beneficiari della cig in deroga con un voto trasversale e quasi unanime. Se la Camera non ha posto condizioni, il Senato diversamente lo ha fatto. «Il sottosegretario Dell’Aringa ci ha ricevuto informalmente ma una soluzione non si è ancora trovata», sottolinea Stella.

«Gli studi professionali sono un settore importante afferma Franco Martini segretario generale Filcams Cgil un mondo frammentato, con elevata professionalità. Ma l’attività non è regolamentata e le loro condizioni variano da caso a caso. È indispensabile aumentare le loro tutele, strumenti di sostegno al reddito, riconoscendo il valore del loro contributo al mondo lavorativo».

L’anno scorso il governo aveva già beffato questa categoria. Finanziando proprio la cassa in deroga prelevando soldi destinati alla formazione, il contributo dello 0,30 per cento del Fondo professioni che invece doveva servire a migliorare la professionalità dei lavoratori. In più nell’ultimo contratto nazionale era prevista un’integrazione tramite Fondi bilaterali alla cassa integrazione in deroga per portare l’importo dal 60 all’80 per cento del totale. Ma senza la cig in deroga anche l’integrazione non avrebbe senso.

(di MassimoFranchi – da L’Unità 4 febbraio 2014)