Lavoro e infiltrazioni mafiose: lacune dello stato e difficoltà dei lavoratori

“Il costo del lavoro illegale nel commercio, turismo e appalti: combattere le mafie per un terziario sostenibili”, un interessante dibattito si è tenuto a Riccione, nell’ambito del XIV Congresso della Filcams Cgil Nazionale, alla presenza di Maurizio De Lucia, Sostituto Procuratore Nazionale antimafia, Francesco Menditto, Procuratore Generale di Lanciano, e Rosy Bindi, Presidente Commissione Parlamentare Antimafia.

Il dibattito è stato introdotto da alcuni contributi e storie delle lavoratrici e dei lavoratori del settore, impegnati, nel loro territorio, a combattere l’illegalità, a volte con tanti, forse troppi ostacoli anche da parte di chi dovrebbe difendere e tutelare. Un fenomeno trasversale, che va da nord a sud, e si inserisce in tutti i campi.

Roberto, di Castelvetrano, lavoratore del Gruppo Sei GDO, un’azienda posta sotto sequestro 6 anni fa e da poco confiscata, chiede maggiore concretezza: “Si parla tanto di mafia, dei problemi che si incontrano, di come gestire i beni confiscati, ma non si parla delle soluzioni. Sono certo che si incontrano dei problemi importanti, ma è arrivato il momento di dire basta, trovare soluzioni concrete, non solo proposte che arrivano dall’esterno”.

“L’illegalità è un danno economico enorme perché spazza via l’economica legale, già in difficoltà” ha affermato Gaetano, calabrese, ma da anni in Emilia Romagna, “e la mafia rischia di diventare il punto di appoggio, ricettrice di bisogni. I cittadini in difficoltà si rivolgono alle mafie, con danni sociali enormi”. Simonetta di Asti, ricorda le difficoltà dei lavoratori in un contesto di illegalità: “i lavoratori sono parte lesa e pagano le colpe del datore di lavoro che agisce nell’illegalità; lo stesso accesso agli ammortizzatori è spesso negato”.

Le infiltrazioni mafiose, si ripercuotono sui settori del commercio, turismo e servizi, e sono presenti anche nel Lazio. 645 beni sequestrati con 140 aziende, sesto posto in Italia, soprattutto al centro di Roma. Le mafie infatti scelgono la capitale, perché riescono a mimetizzare gli investimenti in un mercato ampio e dinamico.

“Ancor più grave” afferma Valentina di Roma, “ è che il 90% delle aziende sotto sequestro è destinata a fallire con la relativa perdita di posti di lavoro”.

Basta parole, bisogna trovare soluzioni concrete, politiche di rilancio dopo il sequestro e la confisca dei beni, soluzioni che diano un futuro alle lavoratrici e ai lavoratori. Che si smetta di dire, “con la mafia si lavora, con lo stato no!”.

Con la speranza che le voci e le richieste dei lavoratori siano arrivate alle orecchie giuste.